La ragione del male è che il male non ha ragione
Sulla scia della recensione alle Confessioni di Agostino di Ippona, voglio utilizzare le storie che il santo racconta in questa autobiografia come punto di partenza per riflessioni su temi che coinvolgono tutti.
Come appassionato di morale cristiana l’episodio balzatomi per primo alla mente quando mi è stato proposto questo progetto è stato il “furto delle pere”: Agostino lo racconta nel secondo libro della sua opera più famosa, e da questo voglio cominciare.
L’episodio si colloca durante l’adolescenza dell’autore, quando cominciano le prime bravate con le compagnie poco raccomandabili:
«La tua legge, Signore, condanna chiaramente il furto, e così la legge scritta nei cuori degli uomini, che nemmeno la loro malvagità può cancellare. Quale ladro tollera di essere derubato da un ladro? Neppure se ricco, e l'altro costretto alla miseria. Ciò nonostante, io volli commettere un furto e lo commisi senza esservi spinto da indigenza alcuna, se non forse dalla penuria e disgusto della giustizia e dalla sovrabbondanza dell'iniquità. Mi appropriai infatti di cose che già possedevo in maggior misura e molto miglior qualità; né mi spingeva il desiderio di godere ciò che col furto mi sarei procurato, bensì quello del furto e del peccato in se stessi. Nelle vicinanze della nostra vigna sorgeva una pianta di pere carica di frutti d'aspetto e sapore per nulla allettanti. In piena notte, dopo aver protratto i nostri giochi sulle piazze, come usavamo fare pestiferamente, ce ne andammo, giovinetti depravatissimi quali eravamo, a scuotere la pianta, di cui poi asportammo i frutti. Venimmo via con un carico ingente e non già per mangiarne noi stessi, ma per gettarli addirittura ai porci. Se alcuno ne gustammo, fu soltanto per il gusto dell'ingiusto. Così è fatto il mio cuore, o Dio, così è fatto il mio cuore, di cui hai avuto misericordia mentre era nel fondo dell'abisso. Ora, ecco, il mio cuore ti confesserà cosa andava cercando laggiù, tanto da essere malvagio senza motivo, senza che esistesse alcuna ragione della mia malvagità. Era laida e l'amai, amai la morte, amai il mio annientamento. Non l'oggetto per cui mi annientavo, ma il mio annientamento in se stesso io amai, anima turpe, che si scardinava dal tuo sostegno per sterminarsi non già nella ricerca disonesta di qualcosa, ma della sola disonestà.»
Dal racconto emergono due stimoli interessanti che ci aiutano a leggere la dinamica dell’anima umana. Da un lato l’autore afferma l’esistenza di una legge che nessun delitto è in grado di cancellare. Tale legge inscritta nel cuore degli uomini si pone come punto di riferimento fisso e necessario. Essa può essere offuscata dall’azione umana ma non rimossa.
Dall’altro la gratuità. Agostino stesso racconta che il furto non era dettato né dal bisogno né dall’appetibilità dei frutti: in effetti le pere rubate vengono poi gettate ai maiali.
Piuttosto il nostro autore voleva: «essere malvagio senza motivo, senza che esistesse alcuna ragione della sua malvagità». Nel male cercava cioè il difetto in quanto tale, non ciò di cui il difetto è difetto, o la capacità del difetto di lasciar apparire aspetti inediti di tale bene, ma il brutto in se stesso, che si rilevava ai suoi occhi come un bene apparente.
Ciò che affascina Agostino è una certa esperienza della gratuità che il male può offrire: la radice di tale fascino sta nella capacità del male di farsi simile alla potenza creatrice stessa: la creazione del mondo da parte di Dio, infatti, non risponde ad un’esigenza o ad un dovere, è completamente gratuita: Dio crea il mondo per amore, per stabilire con il creato un rapporto di amicizia.
Riprendendo un’accurata analisi di Paolo Pagani, si può affermare che l’indebito (il non dovuto) può essere inteso in due modi: come un bene ulteriore al dovuto, come quando di fronte ad un dono si dice “ma non dovevi”, o come male morale.
Il primo è veramente gratuito, mentre il secondo è mimesi della gratuità; in questa sua capacità mimetica, esso seduce l’uomo inducendolo a credere di poter essere come il Dio creatore.
Il male che Agostino descrive nel testo, quindi, è quella malizia che esplicita una potenza creativa, una pretesa cioè di riscrivere daccapo l’ordine ideale della realtà, senza effettivamente riuscirci. A ben vedere infatti, il male può divaricare la realtà dall’ordine ideale in cui è iscritta, ma non può cambiare tale ordine. Esso cioè riesce a deformare una realtà che è già in essere, ma non può creare una nuova realtà, o in altri termini, non ha il potere di creare un nuovo senso per la realtà. La tentazione del serpente nel giardino ha a che fare con questo tipo di malizia, perché instilla in Eva l’illusione di poter creare una realtà nuova: “sarete come dei”.
Si può quindi concludere che nell’uomo è inscritta una legge eterna che lo orienta nell’agire e in questo egli è potenzialmente capace di leggere la realtà come Dio: «Dio creò l'uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio». D’altra parte, l’amore è il bisogno più viscerale dell’uomo e lo conduce verso ciò che riesce a manifestare una certa gratuità (essendo la gratuità la cifra stessa dell’amore): la legge rivelata aiuta l’uomo a illuminare la legge interiore offuscata dal peccato e a indirizzarlo alla volta della gratuità autentica, che, se riconosciuta e praticata, lo rende gradualmente più simile a Dio.