Sinner, il campione gentile

Sono le 23.20 di domenica 27 gennaio al Melbourne Park. Dopo un’estenuante battaglia di 3 ore e 46 minuti, il tennista altoatesino chiude la partita con un vincente di dritto. L’allievo di Vagnozzi e Cahill entra, definitivamente, a 22 anni, nell’olimpo del tennis mondiale.

La tensione del debuttante, contro un Medvedev alla sesta finale di un Major, rende contratto il numero uno italiano che dopo un’ora e mezza è sotto 2 set a 0 (3-6, 3-6).

Nel terzo set si procede sul filo dell’equilibrio, Medvedev rifiata dopo la scorpacciata di break e il suo gioco è ora meno rifinito, meno letale. Sinner trova una luce tra le pieghe dello sconforto e capisce che il russo non è più la macchina computerizzata della prima frazione. L’Italia intera trattiene il fiato, il tennista più forte del Belpaese ha trovato ora continuità. Arriva finalmente una palla break che sa di set e speranza: 6-4. Si va al quarto.

Si gioca un quarto, insidioso set. La palla inizia a scottare ma il ragazzo di San Candido è più cinico e piazza un altro 6-4. Dopo tre ore, si va alla meglio del quinto set per la corona di Melbourne. La tensione si taglia con il coltello, il russo, entrato nella sua 24° di gioco nel torneo in due settimane arranca nei movimenti in orizzontale. Sinner accumula vincenti su vincenti, fino al dritto con cui scrive il suo nome nella biografia ufficiale della Storia del tennis per il 6-4 definitivo. Ed è solo l’inizio

Due mesi prima, al Pala Alpitour di Torino, si consumava l’ultimo atto del torneo dei “Maestri”, le ATP Finals. Jannik perde con un doppio 3-6 in un’ora e 43 minuti contro la leggenda, anzi, che dico, l’epica vivente di Djokovic, portando a casa comunque un record ed una consapevolezza: essere il primo italiano in 54 anni a giocare una finale ATP e avere battuto Novak ai gironi. Consapevolezza che gli permetterà, pochi giorni dopo, il 25 novembre, in sella ad uno di quei caroselli che a volte gli scherzi della vita presentano, di giocare ancora, e vincere in tre set contro il numero uno al mondo: 6-2, 2-6, 7-5, annullando tre match point del serbo.

Con quella vittoria (ripetuta nel doppio, 6-3, 6-4, della coppia Sinner-Sonego contro Djokovic e Kecmanovic), l’italtennis accede alla finale della Coppa Davis, superando la Serbia per 2-1. Nell’arena del Palacio de Deportes José María Martín Carpena di Malaga, il 26 novembre la nazionale azzurra si impone per 2-0 sull’Australia: Matteo Arnaldi liquida in tre set Popyrin (7-5, 2-6, 6-4), Sinner dilaga su de Minaur con un netto 6-3, 6-0. Dopo 47 anni, l’Italia ritorna a pieno diritto sulle mappe delle superpotenze tennistiche.                         A condurla non è un atleta-gladiatore, lucido di olii e sesterzi della sua spettacolare violenza agonistica, né un atleta-divo dalla cafonissima muscolarità e dalla tronfia dialettalità. A interpretare questo destino di grandezza c’è un atleta-gentile, dai gesti scanditi, eleganti e miti, dai modi sobri e riservati, dal ciuffo delicatamente scomposto a pennellare l’ampia fronte, dal fisico definito e atletico, aristocratico nella sua ricercata magrezza.

Sinner è quasi un sortilegio, un inconsueto prodigio in questi tempi volgari. Un fenomeno che interpreta il suo ruolo agonistico e, conseguentemente, quasi si trattasse di un fastidioso cruccio, di personaggio pubblico, con aplomb, lontano dalle pirotecniche scostumatezze mediatiche tanto in voga e dalla torbida eccentricità che imbibisce di sé, come mai prima d’ora, i tanti, forse troppi caratteri e comparse che accalcano il palcoscenico della celebrità.

Domenica 18 febbraio 2024, Ahoy Arena, Rotterdam. Sinner s’impone in due set (7-5, 6-4 il punteggio), su Alex de Minaur, aggiudicandosi l’ATP 500 di Rotterdam, dodicesimo titolo in carriera nel circuito maggiore. Il giorno seguente segna un altro record: primo italiano a raggiungere la terza posizione del ranking ATP. Con questi sensazionali successi ha incassato e continua a incassare soldi, tanti, tantissimi. Quasi venti milioni di dollari in montepremi guadagnati in sei anni, dal 2018 (anno in cui è diventato professionista), 150 milioni i dollari che gli ha garantito Nike, blindandolo con un contratto decennale, nel 2022. Nei mesi successivi all’accordo faraonico, altre sponsorizzazioni: Intesa Sanpaolo, Lavazza, Alfa Romeo, Gucci…

Eppure, nonostante successo e ricchezza straordinari piombati vertiginosamente nella vita di un semplice ragazzo di montagna, Sinner continua a stupire, a rimanere se stesso, non permettendo, almeno ci sembra di poter dire da queste prime fasi della sua già strabiliante carriera agonistica, al vortice degli eventi di risucchiare i valori e la dedizione che gli hanno permesso di diventare il campione di razza mondiale che è oggi.

In una lunga intervista a VanityFair cui si concede dopo ’ATP di Rotterdam, alla domanda sul suo rapporto con il denaro, risponde: “Prima di comprare qualcosa guardo sempre il prezzo, sempre. Se vado al ristorante e la pasta al ragù costa molto più di quella al pomodoro, prendo quella al pomodoro. Non perché sia tirchio - rimarca il campione -, ma perché rispetto il denaro. Se mi sono tolto qualche sfizio? L'unico regalo che mi sono fatto è la macchina. È una bella macchina, ma non pensate a una Ferrari, una Lamborghini o una Maserati." Nel 2021, a Max Giusti che gli chiede sornione quando ha dato il primo bacio, risponde: “Preferisco non parlarne, sono cose personali”. Nessun machismo ostentato, una preziosa timidezza a separarlo dalle distrazioni. In un mondo in cui si fa ostinatamente a gara per mostrare di avere di più, di avere il meglio, in cui nulla sembra compiacere (ed essere desiderato) di più della triade successo, soldi, sesso, compaiono ancora dei fuoriclasse capaci di vedere oltre la trama della superficialità.

A Repubblica, in un’altra bella intervista dell’agosto 2023, prima di partire per gli US Open, Sinner concede altre pennellate sul suo modo di vedere il mondo: “Sono contento del percorso che ho fatto, credo che non avrei potuto fare cosa migliore. Non mi riferisco solo ai risultati ma anche come persona, e credo forse conti un po’ di più dei risultati che sto raggiungendo. Sono felice di come mi hanno fatto crescere i miei genitori, questa è la cosa più importante”. Oltre alla famiglia parla anche in modo schietto degli amici, Sinner: “I miei migliori amici sono ancora quelli dei tempi della scuola, si contano sulle dita d’una mano. Sono pochi, ma veri, perché mi conoscono da quando ero ragazzino e non gli importa di cosa ho vinto o di quanto sono famoso. Mi parlano di cose normali, mi regalano la serenità. Lo apprezzo, più di tutto il resto - conclude - È molto facile tenerli stretti a me.” Parole vere, che hanno il gusto della vita, e che dietro il luccicante scintillio della popolarità disvelano una trama di autenticità.

Sinner e altri campioni come lui, belli in campo e nel modo in cui comunicano la loro immagine, nonostante tutto ciò che li circonda, ci insegnano una cosa essenziale a cui, a volte, stentiamo per primi a credere. La rincorsa frenetica alla propria realizzazione personale, nello sport, nel lavoro, nello studio, così come il raggiungimento pieno degli obiettivi che ci siamo prefissati, non devono mai diventare il senso dell’esistenza.

Personaggi come Jannik Sinner ci ricordano che anche per chi ha raggiunto l’apice del successo, della consacrazione, della ricchezza, alla fine non c’è cosa più importante di ciò che, al contrario, non può essere comprato e per questo è alla portata di tutti. La relazione con gli amici di una vita che abbiamo incontrato lungo un sentiero boschivo dell’esistenza e che da quella volta ci accompagnano ancora verso le cime e i pendii. La ricchezza inestimabile della famiglia, dei valori del vivere appresi dai genitori, la serenità trasmessa dai nonni, il crescere mano nella mano con un fratello… e poi, ancora, una volta subentrati nella vita adulta, il compimento pieno della vocazione esistenziale di ciascuno che si condensa, attraverso l’istituzione del matrimonio, in una nuova famiglia.

Tra le tante cose che il successo di un giovane ragazzo possono suggerire, penso sia interessante cogliere anche questi aspetti. Il fatto che talento, successo, ricchezza non sono in contraddizione con educazione, senso di responsabilità, affetti e relazioni; anzi, qualora i primi dovessero diventare l’altare su cui immolare il proprio Io, tronfio e insaziabile, ecco che ne scaturirebbe una vita piena di insincere illusioni: illusione d’affetto, illusione d’amore, illusione di serenità.

Ecco che, a conclusione di questa nostra (doverosa, per la portata storica sullo sport italiano), pennellata, nell’augurare il miglior prosieguo di carriera al fuoriclasse di Sexten, vogliamo credere che Sinner, e altri giovani talentuosi e famosi professionisti come lui, sapranno essere testimonials di valori orientati al bene, capaci di avere un influsso positivo su chi li osserva: dedizione e non eccesso, composta riservatezza intorno alla propria vita privata e non eccentricità, ricchezza ma non strafottente opulenza, talento unito ad umiltà e non a tracotanza

Francesco Bertolin

Classe 1999, maturità classica, laureando in giurisprudenza presso la facoltà di Trento, coinvolto nel programma doppio titolo con l’Università di Glasgow, sta conseguendo un master in diritto societario e finanziario.

È co-fondatore e Segretario di Creature.

LinkedIn: Francesco Bertolin

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