Come si vadia al cielo

Un paio d’anni fa, per le vie del centro, mi imbattei in una piccola manifestazione ecologista. Pacifica nei modi, tuttavia striata, nei suoi contenuti, da una vena catastrofale. Uno dei giovani attivisti impegnati, incrociato il mio sguardo, indicò la scritta apposta a pennarello sul rettangolo di cartone appeso al suo collo: “IL MONDO BRUCERA’ E NOI ASSIEME A LUI”. In un cordiale dialogo sulle sue ansie e sulle sue paure, indagai sul fondamento del suo messaggio e feci sommessamente notare che tanta granitica certezza con riguardo ad un evento futuro, soprattutto di tale magnitudine, non era propria di un autentico approccio scientifico. Mi spinsi a dire che è forse sintomo di eccessiva arroganza umana proclamare costantemente di poter determinare, con la nostra condotta, le sorti materiali di un pianeta. Ma lui, con sincera passione, asserì fermamente che ormai “la scienza” aveva decretato senza appello: o l’uomo cambia rotta radicalmente, o il destino di tutti è segnato!

“Peccatori pentitevi!” mi venne da aggiungere tra me e me. Vedevo incarnato, in quel ragazzotto biondo, un predicatore pentecostale che ammoniva i suoi confratelli dell’imminente ritorno di Cristo e delle tremende sofferenze che avrebbero patito se non fossero tornati sulla reta via.

Perché lo dice la Bibbia. Perché lo dice la Scienza.

Lo spunto aneddotico personale mi spinge ad osservare. È un parallelismo, quello tra ritualità religiosa e scientifica, che, a saper guardare, si scorge ovunque. Esso innerva diffusamente la società occidentale contemporanea, forse favorito dalla perdurante, inevitabile tendenza dell’Uomo a cercare una direttrice verso il senso dell’essere. E questa inclinazione, in un tempo in cui le confessioni religiose cedono sempre più il passo all’empirismo, finisce per investire il metodo scientifico del ruolo della divinità.

Ironica è l’inconsapevolezza da parte dei più ferventi scientisti, ogniqualvolta essi mirano a prevalere in un dibattito brandendo con fierezza un passo delle Sacre Scritture del Paper pubblicato sulla rivista più accreditata. Oppure nel momento in cui propugnano la necessità, monolitica e assoluta, di un periodico Sacramento vaccinale come “unica soluzione” imposta a chiunque, prescindendo dalle particolarità e unicità dei singoli individui. Dimenticando che le soluzioni uniche, la mancanza di alternative possibili, appartengono all’armamentario dialettico del politico, non dell’uomo animato da puro spirito scientifico. O ancora quando essi si trovano a far propri, senza spinta critica alcuna e per pura reverenza verso l’autorità, i responsi oracolari del sacerdote-dottore vestito del suo camice-talare. Segni ricorrenti, simulacri, sfuggenti analogie, che testimoniano l’imperativo impulso umano a delegare, ad esternalizzare la fonte della propria certezza. Non più al Divino e ai suoi pastorali messaggeri, ma al Metodo e ai suoi ministri di culto, canonizzati dal PhD.

Il tutto è tracimato, nel passato ancora non lontano della “epoca pandemica”, nell’esortazione maestra, che più di tutte mi ha colpito: “Abbi fede nella scienza!”. Credere, dunque, devotamente nella ricetta per la cura dei mali, nel Verbo dato da qualcuno che non conosciamo, senza vacillare a causa del proprio dubbio. Poiché il dubbio, che nelle sue forme più accese viene bollato come “complottismo” o “negazionismo”, equivale nel paradigma scientista alla tentazione diabolica. Da eliminare dalla propria coscienza o, nel peggiore dei casi in cui ciò non sia possibile, comunque da non manifestare apertamente. E poco importa se il dubbio, qualsiasi campo della scienza afferisca, trovi la sua origine in un vissuto intimo e personale il quale porta, per semplice buon senso ed esperienza individuale, a ritenere inadeguata una soluzione che invece si attaglia alla maggioranza degli altri.

Il “credere nella scienza” è ormai assurto a slogan di correnti politiche in svariati Paesi occidentali. Il sentore ossimorico di questo invito, che tanto mi ha lasciato perplesso, svanisce ripensando a quel giovane che, così convintamente, professava l’incombente apocalisse climatica. Pur ben cosciente della voluta esagerazione e dell’intento provocatorio sotteso ad essa, ritengo che si possa scorgere in quel messaggio la nitida tendenza a votarsi a un Credo tecnico/scientifico senza più voler considerare, se non dinanzi a costrizione dialettica, la possibilità che tutto il sistema di premesse e conseguenze su cui il Credo si fonda sia da mettere in discussione.

Di fronte a tale inaridimento di dibattito e confronto, sorge l’auspicio di assistere ad un’evoluzione culturale che porti, anzitutto, a rinvigorire lo spirito scientifico come basato sul dubbio e sulla costante ricerca della giusta domanda; in secondo luogo a riconsiderare fede e scienza, così spesso presentate come irrimediabilmente antagoniste, alla stregua di due sorelle: certamente lontane nel carattere, eppure sempre figlie dello stesso padre, il desiderio umano di rispondere a un “perché”. Un perché meccanicistico nel caso della scienza, un perché finalistico per quanto concerne la fede e la religione. L’una non esclude e non potrà mai escludere l’altra. Il galileiano dualismo tra “come vadia il cielo” e “come si vadia al cielo” è più attuale che mai.

Francesco Botti

Nato a Udine nel 1996, ha trascorso gli anni universitari a Padova, ove si è laureato in Giurisprudenza, ha partecipato attivamente alla vita associativa studentesca e tutt'ora vive, svolgendo il tirocinio forense.

Indietro
Indietro

La ragione del male è che il male non ha ragione

Avanti
Avanti

Satyricon in treno - Fear of Missing Out