Il MES: una storia (in)finita

Dopo anni di intenso dibattito e scontro politico, il 21 dicembre 2023 la Camera dei deputati ha respinto la proposta di legge di ratifica della riforma del MES, rendendo così l’Italia l’unico Paese europeo a non aver concesso il proprio placet. I voti favorevoli sono stati 72 (Partito Democratico, Azione e Italia Viva), i contrari 184 (Fratelli d’Italia, Lega e Movimento 5 Stelle) e 44 gli astenuti (Forza Italia, Noi Moderati e Verdi-Sinistra). Un risultato schiacciante che ha inevitabilmente suscitato un’ondata di reazioni. Se contro la bocciatura si sono levate le proteste del PD che, per bocca della segretaria Elly Schlein, hanno bollato l’esito del voto come una “lesione di credibilità internazionale dell’Italia”, d’altro canto meloniani e salviniani hanno fatto leva sulla coerenza nel rifiutare un trattato che, a loro parere, avrebbe danneggiato il sistema economico-finanziario dell’Italia. Non scontata era invece l’astensione di Forza Italia, dettata dal fatto che il “MES è uno strumento che va migliorato, ma che non è in ogni caso un'urgenza del Paese”. Pur votando contro, Giuseppe Conte, sempre più vero tribuno dell’opposizione, non ha invece risparmiato critiche alla maggioranza, convinto che “c'è sempre un momento in cui la propaganda va via e resta la realtà dei fatti. Meloni ha detto che il Mes è passato col sangue degli Italiani, senza dibattito parlamentare, col favore delle tenebre: se oggi siamo qui vuol dire che non è vero, che Meloni ha mentito al Parlamento. Oggi decidiamo, decidete sul Mes e vi assumete le vostre responsabilità”. Ma a cosa si riferisce il leader pentastellato? Ma, soprattutto, cos’è il MES e quando nasce? Per scoprirlo dobbiamo tornare indietro di qualche anno, precisamente al 9 e 10 maggio 2010 (Governo Berlusconi), quando l’ECOFIN (il Consiglio europeo di Economia e Finanza), sull’onda della crisi greca, delibera l’istituzione di due strumenti temporanei di assistenza agli Stati della zona euro in condizioni finanziarie critiche: il Meccanismo Europeo di Stabilizzazione Finanziaria (EFSM) e il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (EFSF). Il primo è un fondo con capacità massima di prestito pari a 60 miliardi di euro, la cui struttura patrimoniale è garantita dal bilancio comunitario dell’Unione Europea, mentre il secondo, grazie alla garanzia prestata dai singoli Stati dell’Eurozona, arriva a 440 miliardi. Tali strumenti, pensati come temporanei per andare incontro alle esigenze di Paesi come Irlanda, Portogallo e Grecia, cosa poi avvenuta, sono stati poi sostituiti dal MES, il (permanente) Meccanismo Europeo di Stabilità ideato nel Consiglio europeo del 28 e 29 ottobre 2010 (ultimi giorni del Governo Berlusconi) al fine assecondare le eventuali future richieste di aiuto da parte di Paesi in difficoltà. L’entrata in vigore è fissata al 2013, ma, nel 2011 (Governo Monti in carica) gli Stati aderenti decidono di anticiparla al 2012. Così facendo, il 2 febbraio 2012 il trattato istitutivo del MES è firmato dai 17 Stati membri della zona Euro (cui poi si aggiungeranno Lettonia e Lituania), non senza dover modificare il TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), al cui art. 136 sono incorporate le parole: “Gli Stati membri la cui moneta è l’Euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona Euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità”.

In sintesi il MES prevede di assicurare assistenza finanziaria agli Stati membri che, pur avendo un debito pubblico sostenibile, abbiano difficoltà nel finanziarsi sul mercato. Come? Attraverso una serie di strumenti come l’erogazione di prestiti, l’acquisto sui mercati di titoli di Stato o l’apertura di linee di credito in via precauzionale. Ma è la governance a scatenare le maggiori critiche in quanto il coordinamento del MES è stato affidato a un Consiglio dei Governatori, composto dai Ministri dell’Economia dei Paesi dell’area Euro, che può decidere solo all’unanimità, salvo in casi eccezionali quando è richiesta la sola (sic!) maggioranza qualificata dell’85% del capitale. Ma essendo la Germania la principale finanziatrice (190 su 704 miliardi), potrebbe apporre il veto da sola!

Il disegno di legge intitolato “Ratifica ed esecuzione del Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità (MES) è approvato dal Senato il 19 luglio 2012, mentre una settimana dopo arriva il via libera definitivo della Camera. Favorevoli i parlamentari della maggioranza (PD, UDC, FLI e PDL, tranne alcune eccezioni quali Guido Crosetto, Tommaso Foti, Laura Ravetto, Francesco Paolo Sisto e pochi altri), contrari i leghisti, astenuta l’Italia dei Valori di Di Pietro; l’attuale Presidente del Consiglio, allora deputata del Popolo della Libertà, è invece assente.

Nel 2017 il naturale mutamento degli assetti politico-economici della UE spinge la Commissione Europea a presentare una proposta di regolamento per trasformare il MES in Fondo Monetario Europeo (FME), poi accantonata, ma riemersa in occasione del Consiglio Europeo del 13 e 14 dicembre 2018 (Governo Conte I) e deliberata sei mesi dopo. In primo luogo, la riforma prevederebbe che il MES facesse da backstop (paracadute) nel caso in cui il Fondo di Risoluzione Unico (un deposito finanziato dalle banche dell’Eurozona per scongiurare le crisi bancarie) esaurisse le risorse. In tal caso, però, il MES non potrebbe più ricapitalizzare direttamente gli istituti in difficoltà e sarebbero modificate le condizioni di accesso alle linee di credito precauzionali PCCL (Precautionary Conditioned Credit Line) e ECCL (Enhanced Conditions Credit Line): la prima da concedersi agli Stati con una stabile situazione finanziaria, la seconda nel caso in cui quest’ultima sia meno solida. Per accedere alla PCCL lo Stato dovrebbe firmare un memorandum d’intesa con alcuni impegni da ottemperare, mentre, nel caso della PCCL, sarebbe costretto a rispettare stringenti parametri di stabilità come un debito inferiore al 60% del PIL, parametro difficilmente perseguibile (non solo) dall’Italia.

In secondo luogo, il MES (organo tecnico) avrebbe un ruolo più forte che in precedenza, obbligando la Commissione Europea (organo politico) ad adeguarsi alle decisioni dallo stesso espresse.

Contro il progetto di modifica si levano da subito le critiche di diversi esponenti di Lega e M5S che inducono il Governo a temporeggiare. In seguito alla caduta dell’esecutivo Conte I e al conseguente stravolgimento della maggioranza parlamentare, Giuseppe Conte sembra, però, cambiare linea. A Dicembre 2020 il Parlamento vota a favore delle comunicazioni pro-MES del Presidente del Consiglio in vista della riunione del Consiglio Europeo e dell’Eurosummit. Favorevole il centrosinistra e il Movimento 5 Stelle (tranne qualche ribelle), contrario il centrodestra. Non un voto di ratifica, ma di investitura a dare il via libera in sede europea al nuovo Meccanismo di Stabilità, che sarà ufficialmente firmato il 27 gennaio 2021. Ma l’11 gennaio 2021, dopo settimane di contrasti, Italia Viva apre una crisi di Governo che il 26 gennaio porta alle dimissioni di Conte e il 13 febbraio all’investitura di Draghi. Il 27 gennaio i rappresentanti degli Stati approvano ufficialmente e definitivamente la riforma del MES. Alla riunione partecipa il rappresentante permanente dell’Italia Maurizio Massari, incaricato dall’allora Ministro degli Esteri Luigi Di Maio di sottoscrivere l’accordo. La vera e propria ratifica parlamentare però tarda ad arrivare. Il nuovo Governo decide di rinviare la decisione per contrasti all’interno della maggioranza, strategia adottata anche dall’esecutivo guidato da Giorgia Meloni che, sul finire del 2023, sembra però aprire all’approvazione della riforma in cambio di un Patto di Stabilità più favorevole per l’Italia. Se da un lato nel centrodestra c’è chi sarebbe disposto ad abbandonare le barricate contro il MES pur di ottenere flessibilità dall’Europa, dall’altro ci sono i duri e puri (soprattutto leghisti) che non vogliono cedere. La linea di questi ultimi prevale nel momento in cui il 14 dicembre il Presidente della Camera Fontana assicura che il provvedimento di ratifica “è inserito nel calendario dei lavori del mese di Dicembre. Il calendario è stato approvato e il Presidente è chiamato a farlo rispettare e a questo principio mi atterrò sempre”.

Esclusi il centrosinistra (da sempre favorevole al MES) e alla Lega (contraria sin dalle origini) le posizioni degli altri partiti sono incerte fino alla fine. La votazione avviene il giorno che segue il difficile accordo in sede di Consiglio Europeo sul Patto di Stabilità, decisione che non convince la maggioranza a cambiare opinione sul MES. Come prevedibile il tema spacca maggioranza e opposizione, ma le parole espresse dalla Presidenza del Consiglio al termine della seduta sono chiare: “Il Governo, che si era rimesso al Parlamento, prende atto del voto dell'Aula di Montecitorio sulla scelta di non ratificare la modifica al trattato MES. In ogni caso, il MES è in piena funzione nella sua configurazione originaria, ossia di sostegno agli Stati membri in difficoltà finanziaria. La scelta del Parlamento italiano di non procedere alla ratifica può essere l'occasione per avviare una riflessione in sede europea su nuove ed eventuali modifiche al trattato, più utili all'intera Eurozona”. Morale: se si vuole trovare la quadra, il MES deve essere ridiscusso. Difficile prevedere se ciò accadrà. Certo è che un nuovo iter di riformulazione del Meccanismo di Stabilità non sarà avviato a breve: il mandato delle istituzioni europee è in scadenza e decisioni di una tale portata non possono essere prese in così poco tempo. Al momento possiamo solo constatare che il Governo italiano non solo ha tenuto fede alle promesse elettorali, ma non si è lasciato sedurre dalle tante sirene che in Italia e in UE vedevano la ratifica del MES come un atto obbligato. Il “ce lo chiede l’Europa”, questa volta, non ha funzionato.

Michele Gottardi

Classe 1995, maturità classica e laurea con lode in giurisprudenza all’Università di Trieste. Appassionato di storia, politica e religioni, amante del "bello" nelle sue forme più elevate e profonde.

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