Maternità e mistero. Lo sguardo dell’arte, oltre la tessitura del tempo
Il titolo che leggiamo nel cartellino non appena entriamo in una delle stanze espositive di Palazzo Boncompagni a Bologna è “Madonne Nere” e quello che compiamo immediatamente è un viaggio che attraversa la terra di provenienza dell’artista per condurci in una dimensione intima ma che, allo stesso tempo, appartiene in qualche modo a tutti noi.
Mimmo Paladino nasce nel 1948 a Paduli, in provincia di Benevento e infatti, i volti di queste Madonne potrebbero essere quelli di una qualsiasi matrona del Sud Italia. Il capo è velato di nero e lo sguardo è mesto, come se stessimo guardando il ritratto di una prefica intenta a parlare e a pregare per il defunto durante la veglia funebre. Paladino ce le descrive definendole “icone votive popolari” e con questa breve espressione ci racconta tutto quello che dobbiamo sapere di queste tele: quella della Madonna con il bambino è un’iconografia che appartiene al nostro immaginario collettivo, alla nostra tradizione popolare, oltre che religiosa. Sono rappresentazioni votive indubbiamente, che allo stesso tempo fanno appiglio a suggestioni e sensazioni ancestrali, immagini che vanno a toccare corde profonde dell’intimità di ciascuno di noi, risvegliando una sensibilità che è al contempo unica e condivisa. L’icona votiva si fa latrice di una spiritualità arcaica che contraddistingue l’umanità. L’immagine, molto più delle parole, ha la capacità di trasmettere in maniera diretta questa suggestione e di consentire a questa spiritualità di attraversare il tempo e le epoche.
Mimmo Paladino è un artista di fama internazionale, noto per la sua appartenenza alla corrente della Transavanguardia. Lo possiamo considerare un rappresentante, in ambito artistico e conseguentemente culturale, della nostra epoca, proprio perché con le sue opere è in grado di relazionarsi a un pubblico molto ampio e variegato.
Ciò che colpisce è che nel 2023 lui scelga appositamente di realizzare tele che presentano come soggetto la Madonna con il bambino, l’icona votiva popolare. Veniamo catturati dall’immagine perché, anche se indirettamente e velatamente, ci parla di un sentimento che tutti riconosciamo: la maternità. La Madonna è accostata al bambino, in questo caso riquadrato rispetto al resto della tela per rendere ancora meglio l’idea di essere collocato dentro il grembo materno. La Madonna con il bambino, la madre con il figlio, simboli di un sentimento ancestrale, sacrale a cui non possiamo rinunciare.
Un mistero, quello della vita che, nonostante gli sforzi non riusciamo a svelare. Sarebbe come chiedere a un bambino che non ha mai visto il mare di immaginarselo come una distesa di acqua di cui non si veda la fine, come un fiume di cui non si discerna la riva opposta. Pur con tutto lo sforzo e l’immaginazione, il bambino metterà sempre una sponda, un limite a quella distesa immensa. Sono figure sintetiche quelle di Paladino, contraddistinte da volti stilizzati. Non c’è bellezza nei soggetti raffigurati ma c’è immediatezza comunicativa: una forte eloquenza nello sguardo della Madonna, occhi di una madre consapevole e, allo stesso tempo ingenua e pura, come se attraverso di lei percepissimo anche le paure del figlio, ancora bambino. Lo sguardo è rivolto allo spettatore, come prevede la tradizione dell’arte bizantina, poiché gli occhi servono per comunicare e l’immagine sacra deve essere rappresentata frontalmente. Sono volti simbolici perché non devono rappresentare una Madonna con un bambino specifici bensì l’universalità di un concetto, quello della maternità. L’icona ci parla di una sensazione intima, profondamente radicata nel singolo ma che allo stesso tempo ci fa sentire parte di qualcosa di più ampio: l’umanità passata, presente e futura in grado di superare le barriere temporali tramite l’opera d’arte stessa. Sembrerebbe anacronistico, eppure si sta parlando di una spiritualità senza tempo che viene veicolata da un’opera d’arte, quella di Paladino, che sceglie un tema universale rappresentato in una forma altrettanto universale, l’icona.
Viviamo in un periodo storico in cui fatichiamo a credere a ciò che non vediamo e, come un bambino che non ha mai visto il mare, abbiamo bisogno di porre un limite a ciò che non conosciamo.
La razionalità di un mondo ordinato che ci urla di essere concreti e fattivi, una razionalità che ci fa sentire protetti perché conosciamo i confini fino ai quali possiamo spingerci, una razionalità che corrisponde alle nostre colonne d’Ercole. Eppure, osservando le Madonne di Mimmo Paladino cogliamo la potenza di una sacralità che è necessaria per nutrire lo spirito. Entriamo in contatto con chi ci ha preceduti e con chi verrà dopo di noi, nella percezione, che è fisica e trascendente allo stesso tempo, di non essere soli ma che apparteniamo a qualcosa di più grande. Un volto, quello dell’icona, sempiterno, che hanno già scrutato in tanti prima di noi e che osserveranno in molti anche dopo, per cercare una risposta al senso della vita e allo stesso tempo per trovare conforto in occhi che costituiscono il riflesso di un’umanità senza tempo. Se siamo alla ricerca di prove che ci consentano di credere a ciò che non è immediatamente visibile e tangibile, che ci consentano di immaginarci veramente il mare anche se non l’abbiamo mai visto, perché non considerare proprio l’arte, in qualsiasi forma esse si esprima, come la traccia, la testimonianza concreta dell’esistenza di qualcosa che ci trascende e che ci mette in relazione con un tempo che non possiamo quantificare, che non possiamo capire forse, ma che possiamo percepire.
Forse non riusciremo ugualmente a eliminare la sponda, ma potremo provare a spostarla sempre un po’ più indietro e a rendere sempre più ampia quella distesa di mare che altro non è che la vita stessa.