Regno Unito: free speech emergency.

Il nuovo Primo Ministro Keir Starmer si è insediato da poco tempo, ma ha subito sospeso la legge che tutelava la libertà di parola all’interno delle università. L’agenda del nuovo Governo sembra essere in linea con il pensiero progressista occidentale: limitare le opinioni scomode e controcorrente, anche a costo della propria libertà personale.

 

Il 4 luglio 2024 nel Regno Unito si votava per le elezioni generali, indette anticipatamente dal Primo Ministro Rishi Sunak in seguito alle pesanti sconfitte collezionate nelle amministrative di maggio e al conseguente caos scatenatosi all’interno del partito.

Il risultato delle votazioni che hanno portato al rinnovo della Camera dei Comuni è stato stupefacente: i Laburisti hanno ottenuto 404 seggi (sfiorando il record di Tony Blair nel 1997), i Conservatori si sono fermati a quota 121 (meno della metà rispetto ai seggi ottenuti nel 2019) e i Liberaldemocratici con 72 seggi hanno ottenuto il miglior risultato di sempre. Non poco sorprendente è stato il risultato di Reform UK, il partito di Nigel Farage, che, dopo tentativi decennali, è riuscito ad entrare in Parlamento con 5 parlamentari.

Quanto emerso dalle urne è paragonabile ad una vera e propria “onda rossa”, venutasi a creare a causa dei numerosi errori commessi dai vari primi ministri conservatori succedutisi a Downing Street. I numerosi scandali, primi tra tutti il partygate (i festini organizzati da Boris Johnson in piena pandemia), il caos finanziario causato dal taglio delle tasse per le fasce più abbienti voluto da Liz Truss e la poca incisività sociale delle scelte attuate dal Governo Sunak sono stati fatali per i Conservatori tanto da ottenere il peggior risultato di sempre.

I Britannici hanno così incoronato Primo Ministro Keir Starmer, avvocato e politico sessantaduenne, da tutti descritto come un uomo moderato e pragmatico, lontano dall’ala più estremista del partito. Ma sono bastati meno di due mesi dal suo insediamento per comprendere la vera identità della sinistra britannica a causa di una tematica molto sentita nel nostro tempo: la libertà di parola (free speech). È di qualche settimana fa l’intervento nel Parlamento di Sua Maestà del Ministro dell’Educazione Bridget Philipson con il quale ha annunciato la sospensione dell’entrata in vigore, nonché la possibile abrogazione, dell’Higher Education Act, la legge voluta dal precedente esecutivo conservatore per garantire la libertà di espressione negli istituti di istruzione superiore e nelle associazioni studentesche. Il provvedimento si era reso necessario in seguito ai numerosi casi di censura verificatisi all’interno delle università britanniche di fronte alle opinioni non politicamente corrette espresse da professori e studenti. Si pensi alla docente di criminologia Jo Phoenix, vittima di mobbing e boicottaggio da parte dei colleghi della Open University e degli studenti dell’Università del Sussex per aver messo in discussione il “dogma transgender”, che ritiene l’identità di genere (l’idea soggettiva di essere uomo o donna) importante quanto il sesso biologico (fattore invece oggettivo). L’accusa rivolta alla donna è stata quella di aver affermato come il sesso di nascita non possa essere mutato, una posizione ritenuta quasi criminale dal mainstream. Un altro è il caso di Maya Forstater, ricercatrice britannica licenziata per un tweet critico nei confronti dell’identità di genere nel quale sottolineava l’importanza della difesa dei diritti delle donne sulla base del solo sesso biologico, opinione, tra l’altro, condivisa da gran parte delle femministe. O ancora Emma Hilton, biologa dell’Università di Manchester, rea di aver criticato la partecipazione degli uomini trans negli sport femminili e per questo motivo destinataria di numerose minacce sui social media.

I casi citati sono solo alcuni esempi di quanto da anni sta avvenendo nelle università d’oltremanica e, ben prima, nei campus americani.

La censura perpetrata dalle istituzioni universitarie e dalle associazioni rappresentative degli studenti ha suscitato una forte reazione da parte di alcuni esponenti del mondo accademico. Si pensi all’appello We will not bow to trans activist bullies (“Non ci piegheremo ai bulli transgender”), sottoscritto nel 2021 da centinaia di accademici britannici, tra cui l’economista Partha Dasgupta e il fisico Michael Pepper, e pubblicato dal Sunday Times, nel quale si legge che “le università stanno creando un ambiente intimidatorio e ostile per il personale e gli studenti uniti dalla convinzione di come il sesso biologico sia fondamentale. […] Mentre critichiamo i regimi autoritari per aver cancellato la libertà di parola, nelle università del Regno Unito c'è un tentativo di regolamentare non solo l’espressione orale e scritta, ma anche il pensiero”.

Il Governo conservatore di allora, percependo i pericoli che si stavano delineando, aveva deciso di emanare un provvedimento che mettesse fine a questa “caccia alle streghe” e permettesse a docenti e studenti di esprimere liberamente la loro opinione su temi scientifici, etici e morali. Con l’Higher Education Act si era prevista l'istituzione del Director of Freedom of Speech and Academic Freedom, carica finalizzata a gestire i reclami inerenti alla libertà di espressione con il potere di emanare sanzioni in caso di violazioni che avessero danneggiato il corpo docente o gli ospiti invitati a tenere lezioni o seminari all’interno delle università. Inoltre si prevedeva l’obbligatorietà, e non solo la tutela, della promozione attiva della libertà di espressione, mettendo in guardia gli atenei e i sindacati studenteschi colpevoli di limitare il diritto di ciascuno a poter esprimere le proprie opinioni e ponendo così fine al no-platforming, ossia il boicottaggio di persone od organizzazioni alle quali viene negato uno spazio o le risorse per parlare.

Il provvedimento era stato caldeggiato dall’allora Ministro dell’Istruzione Gavin Williamson, preoccupato “da certi campus che silenziano e censurano le idee altrui, in maniera inaccettabile”, ed era parte un’ambiziosa campagna mediatica contro gli attivisti cosiddetti "woke", termine utilizzato per indicare quel filone di pensiero incentrato sul combattere (con ogni mezzo) le ingiustizie e le discriminazioni razziali, associato soprattutto agli attivisti di Black Lives Matter, alcuni dei quali si sono distinti per aver imbrattato o chiesto la rimozione di statue “razziste” o “schiaviste”, quali Cristoforo Colombo o Winston Churchill.

Le iniziative intraprese dai Conservatori avevano trovato l’opposizione di UK Universities, associazione che riunisce gli atenei britannici, e dei sindacati studenteschi, nonché del Partito Laburista, che tramite Kate Green, ministro-ombra per l’Educazione, aveva fatto sapere che “con la nuova legge si dà ai negazionisti dell’Olocausto, ai no-vax e alle persone dannose per l’interesse pubblico la possibilità di fare causa per ritagliarsi uno spazio nelle università”. E infatti i Laburisti, da poche settimane al potere, non hanno concentrato la loro attenzione sulle tante questioni economiche e sociali irrisolte dai loro predecessori, ma si sono subito scagliati contro l’Higher Education Act, tra gli applausi degli attivisti woke e le critiche dell’opposizione e della stampa conservatrice. “Per troppo tempo le università sono state un campo di battaglia politico e sono state trattate con disprezzo piuttosto che come un bene comune” ha sentenziato Bridget Phillipson, Ministro dell’Educazione, preoccupata da una legge che “potrebbe esporre gli studenti a danni e a spaventosi discorsi d’odio nei campus”. Parere favorevole è arrivato anche dal Board of Deputies of British Jews, la più grande organizzazione comunitaria ebraica del Regno Unito, secondo cui la legge avrebbe dato man forte alla diffusione dell’antisemitismo. Critiche invece sono pervenute dall’ex Ministro Williamson: “La legislazione sulla libertà di parola era destinata a contrastare le restrizioni alla libertà di espressione delle persone. È preoccupante che il Governo laburista non si renda conto che la libertà di parola è qualcosa per cui vale la pena battersi e che merita di essere difeso”. Ancor più dura è stata Claire Coutinho, ex deputata conservatrice che dalle colonne del Daily Telegraph ha voluto esprimere tutta la sua indignazione per lo stop ad una legge necessaria e attuale: “ll mondo che la sinistra radicale desidera è quello in cui non è consentito alcun dibattito. I Laburisti non possono nascondersi da quello che sono: un partito di persone così coinvolte nella politica dei sindacati studenteschi che invece di discutere una questione, mettono a tacere la parte avversa. Le guerre culturali sono condotte da gruppi di estrema sinistra che credono che il proprio bigottismo prevalga sul diritto di altre persone a non essere d’accordo”.

Ma non è finita qui. A fine luglio Axel Muganwa Rudakubana, nato a Cardiff nel 2006 da genitori provenienti dal Ruanda, ha accoltellato a morte tre bambine che stavano partecipando a un evento di danza a Southport, nel nord-ovest dell’Inghilterra. L’evento ha sconvolto tutto il Regno Unito, innescando feroci proteste anti-governative che hanno messo a ferro e fuoco l’intero Paese. Ma ha scatenato non poche critiche il metodo con il quale si è intervenuti per sedare le rivolte: sono stati arrestati e condannati non solo coloro i quali hanno partecipato materialmente ai disordini, ma anche persone che sul web hanno diffuso contenuti contrari all’immigrazione e al multiculturalismo, tacciati dal Governo come “disinformazione” razzista e xenofoba. Un esempio è stato Jordan Parlour, condannato dal Tribunale di Leeds a 20 mesi di carcere per istigazione all’odio razziale per i post pubblicati nel corso delle proteste. “E’ la Gran Bretagna o l’URSS?” si è domandato Elon Musk sulla sua piattaforma X, riaccendendo il dibattito sul “se” e “come” la libertà di parola possa essere limitata.

A gettare benzina sul fuoco è stato poi lo stesso Starmer, palesando l’intenzione di rivedere l’Online Safety Act (la legge finalizzata a contrastare l’odio e la disinformazione online) ed elaborare un piano per obbligare i social media a censurare le fake news e (addirittura) i contenuti “legali, ma dannosi”. Ma il problema è sempre lo stesso: chi deciderà cosa sia “legale ma dannoso”? Affermare che essere uomo o donna è dettato esclusivamente dal sesso biologico sarà ancora possibile? E criticare l’immigrazione di massa, tema molto sentito dai britannici, sarà concesso? Le risposte sarebbero negative se fosse recepito dal Governo britannico l’Hate Crime Act, la legge scozzese entrata in vigore il 1 aprile di quest’anno che ha esteso il crimine di incitamento all’odio, fino ad allora limitato ai casi di razzismo, a chi esprime idee contrarie all’identità di genere. In sintesi può essere punito con multa e addirittura carcere fino a sette anni chi non condivide l’idea del gender e sostiene, perciò, che i sessi siano soltanto due. Il provvedimento ha suscitato la reazione di una delle scrittrici più importanti al mondo, J. K. Rowling, autrice di Harry Potter, da anni impegnata contro i dogmi LGBT a tal punto da essere stata più volte censurata e addirittura minacciata di morte. In un lungo comunicato ha espresso il suo disappunto verso i legislatori scozzesi: “Da diversi anni ormai, le donne scozzesi subiscono pressioni dal Governo e dai membri delle forze di polizia affinché neghino l’evidenza, ripudino i fatti biologici e abbraccino un concetto neo-religioso di genere che è indimostrabile e non verificabile. La ridefinizione del termine "donna" per includere ogni uomo che si dichiara tale ha già avuto gravi conseguenze per i diritti e la sicurezza delle donne e delle ragazze in Scozia, con l'impatto più forte avvertito, come mai, dai più vulnerabili, comprese le detenute e le donne, sopravvissuti allo stupro. La libertà di parola e di credo finirà in Scozia se la descrizione accurata del sesso biologico sarà ritenuta criminale. Al momento sono all’estero, ma se quello che ho scritto qui si qualifica come un reato secondo i termini della nuova legge, non vedo l'ora di essere arrestata quando tornerò nella culla dell'Illuminismo scozzese”. Parole forti, decise, che ricalcano il carattere di una delle personalità che in questi anni si è battuta senza paura per affermare che uomo e donna sono due concetti ben distinti e che le prime vittime della teoria gender sono proprio le donne, a difesa delle quali il mondo progressista alza spesso gli scudi.

Se Starmer prenderà spunto dalla legislazione scozzese si saprà a breve, ma un primo avvertimento è arrivato dall’ex Primo Ministro Tony Blair, suo compagno di partito, che all’indomani del trionfo laburista ha esortato il nuovo inquilino di Downing Street 10 a non lasciarsi travolgere dal wokeismo, in linea con quanto espresso poche settimane prima: “una donna ha una vagina e un uomo ha un pene”. Chissà se in futuro sarà ancora lecito affermarlo.

Michele Gottardi

Classe 1995, maturità classica e laurea con lode in giurisprudenza all’Università di Trieste. Appassionato di storia, politica e religioni, amante del "bello" nelle sue forme più elevate e profonde.

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