Lo sguardo del mare

Era il 1867 quando il capitano della corvetta Valoroso scorse qualcuno tra le onde dell’oceano Atlantico e dirottò per accorrere in suo aiuto trovandosi di fronte ad una maestosa figura lignea la cui storia si confonderà ben presto con la leggenda: una preziosa polena, un ornamento scultorio posto all’estrema prua degli antichi velieri per scongiurare la cattiva sorte o per fare sfoggio di ricchezza e potere. In genere, raffiguravano per lo più seducenti sirene o donne maestose come la protagonista della nostra storia che, una volta imbarcata, portò con sè un’improvvisa aria calma e piatta per cui fu ritenuta subito colpevole da parte dei marinai. Senza vento infatti era impossibile continuare la navigazione ed era necessario quindi trovare un rimedio a tutto ciò. Considerata da sempre un simbolo di fortuna, liberarsene non poteva essere un’opzione e si pensò quindi di colorarla: prima dorata, poi bruna ed infine bianca si riuscì finalmente a richiamare il vento ed i suoi sospiri fino allo sbarco nella città di Genova dove fu consegnata al Museo Navale di Pegli per poi essere trasferita a La Spezia nel 1870 quando venne ultimato l’Arsenale Militare.

Da allora è rimasta lì con il suo seno scoperto e la veste sollevata appena sopra al ginocchio quasi come fosse impegnata in una corsa, una disciplina antica in cui secondo Ovidio eccelleva la donna amata dall’eroico Ippomene e da cui la polena, ricordandola nella gestualità, prende appunto il nome Atalanta. Il mistero di una storia per cui non solo è impossibile risalire alle origini e quindi al nome dell’imbarcazione da lei un tempo protetta, ma che ritorna anche successivamente nel 1944 quando l’ufficiale tedesco, Erik Kurtz, innamoratosi follemente la rapì portandola in albergo poco prima di spararsi per lei.

Ancora oggi la bella naufraga dai capelli fluenti incanta i visitatori che, come una novella Gioconda, sembra continuare a seguire con gli occhi e, data l’inspiegabile malia per cui è diventata celebre, si raccomanda sempre agli ingenui spettatori di non soffermarsi troppo nella sua contemplazione.

D’altro canto, la polena è prima di tutto uno sguardo sgomento di fronte all’infinito, al mare illimitato, e proprio per scrutare qualcosa di fatale per chi naviga viene collocata a prua violando qualsiasi divieto. Acque senza fondo in cui è facile incagliarsi tra dubbi ed incertezze anche nel momento in cui si ricercano le origini antiche di un’usanza così particolare. Tuttavia, per ora è plausibile pensare che sia proprio l’occhio la cellula germinale da cui ha poi preso forma la polena: un segno apotropaico presente già nel tre mila avanti Cristo su navi, ma anche semplici barche, per combattere le perfide onde, immagini di un rischio da cui si teme di essere sovrastati in uno spazio senza centro che disorienta l’uomo. Il mare per gli antichi era un luogo insidioso di cui tutti raccontavano la terribile vastità, un mondo oscuro che, come sostiene Michel Pastoureau, aveva molto in comune con la dimensione infernale dell’oltretomba e che, almeno in Occidente, dovrà aspettare il Cinquecento per riscattarsi diventando finalmente fonte di vita. Prima di allora però navigare è sinonimo di pericoli ed incertezze che il mare con la sua immensità cela tra le acque insidiose costringendo chiunque lo sfidi ad affidarsi completamente all’ignoto o quantomeno, se così deve essere, a farlo con il sostegno di quegli occhi sgranati e attoniti in grado di trovare la via giusta per tenersi lontano dai pericoli. La vista, infatti, ha sempre svolto un ruolo fondamentale nella cultura occidentale e non era un caso che la cecità fosse la punizione inflitta dalle divinità del mondo classico per i peccatori di ubris come Tiresia che, secondo Callimaco, aveva scorto le nudità della dea Atena o il poeta Tamiri colpevole invece di aver paragonato le sue doti musicali a quelle delle impareggiabili Muse. Lo scenario stesso del malocchio, oggi relegato in un registro esotico e romanzesco ma molto sentito nell’antichità, implica per definizione lo sguardo che mostra una forte solidarietà psicologica con quello di aiuto e protezione rappresentato invece dalle polene poste sulle imbarcazioni per stornare i malefici del mare mostrando come al solo mutare di segno entrambi i significati coesistano in tutta la loro ambivalenza: se da una parte la vista rappresenta la possibilità di conoscere la realtà, dall’altra può rendere vulnerabili come nello sfortunato caso limite in cui secondo il mito ci si sarebbe trovati di fronte alla forza pietrificante della terribile Medusa.

Tuttavia, lo sguardo ha per lo più una connotazione positiva e in molte culture viene associata alla luce, senza cui sarebbe impossibile vedere, come capitava per esempio già nell’antico Egitto dove la rappresentazione dell’occhio del dio Horus, la divinità del Sole, era un potente amuleto che veniva posto a protezione delle mummie per l’eternità e similmente ancora oggi in Italia è molto sentito un portafortuna popolare legato alla cecità di Santa Lucia che rievoca echi storici di un tempo molto lontano.

Non sappiamo esattamente quali figure si ergessero a prua nelle leggendarie battaglie del mondo classico perché la prima polena ricordata dal mito antico fu scolpita sulla nave che andava alla ricerca del vello d’oro, Argo, che non a caso prende il nome non solo dal protagonista ma anche dalla creatura panoptes, tutta occhi, delle Metamorfosi di Ovidio. Si trattava allora di un ariete ritagliato nel legno di una sacra quercia di Dodona ed infatti, oltre ai segni rupestri già citati, sulla prora venivano messe anche teste di uccello, draghi e animali vari che digrignavano i denti di fronte all’insostenibile paura dell’ignoto, ma si trattava di fiere adatte ai primi riluttanti tentativi da cui prenderanno poi forma donne dalle vesti ariose e i volti sereni nonostante gli sguardi sconvolti dinanzi l’orizzonte privo di confini, l’infinito inafferrabile a cui non si può che soccombere. Con l’incedere dell’innovazione tecnologica, che ha coinvolto ovviamente anche le pratiche di navigazione, nella seconda metà dell’Ottocento le polene hanno cominciato lentamente a scomparire dalle navi, ma sono rimaste capolavori di arte popolare frutto delle abili mani di autori sconosciuti tanto brillanti nel ricavare figure così belle da un semplice pezzo di legno quanto nel riconoscere il coraggio dell’accettazione serena, dell’affidarsi con meraviglia all’ignoto e l’innalzarsi dunque alla comprensione del sublime mistero del mondo.

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Universa Universis: la Padova di Donatello.

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Maternità e mistero. Lo sguardo dell’arte, oltre la tessitura del tempo