One Nation under God: gli Stati Uniti e quel legame intramonatabile tra politica e religione

Mancano pochi giorni all’appuntamento più atteso dell’anno: le elezioni presidenziali americane. Tra comizi infuocati e sondaggi contraddittori, Harris e Trump sono intenti a convincere gli elettori ancora incerti. Ma è su quello che gli analisti chiamano “voto religioso” che si concentra la vera sfida. E i due candidati lo sanno (troppo) bene.

  

L’errore più grande che potremmo commettere nell’analizzare gli Stati Uniti d’America è considerarli uno Stato omogeneo, coeso e monolitico. Se si escludono una quasi venerazione per la bandiera nazionale e un attaccamento ferreo verso la Costituzione, tutto il resto è senza dubbio composito e variegato. Lo è la geomorfologia americana, lo è il clima, lo è l’economia, lo è la società, ma, soprattutto, lo è la religione, un tema che in Europa registra una rilevanza sempre minore e che, invece, Oltreoceano fatica ad affievolirsi. Lo possiamo comprendere immediatamente dalla stessa Carta costituzionale nella quale la libertà religiosa trova un posto d’onore, ossia nel Primo emendamento: “Il Congresso non potrà emanare leggi per il riconoscimento di una religione o per proibirne il libero culto”. Non un principio banale o scontato, ma la condicio sine qua non affinché possano convivere credenze molte diverse tra di loro.

L’aspetto però più singolare degli Stati Uniti rispetto al resto del mondo, Europa in primis, è la rilevanza socio-politica della religione. Si pensi al Presidente che, durante la cerimonia di insediamento, giura sulla Bibbia pronunciando le parole “So help me God” (“Che Dio mi aiuti”) o al motto nazionale, stampato anche sui dollari, “In God we trust” (“Confidiamo in Dio”) o ancora al celebre augurio “God bless America” (“Dio benedica l’America”), pronunciato frequentemente al termine dei discorsi pubblici. Tutto questo ci fa comprendere come lo Stato più potente al mondo, pur essendo profondamente laico, non disdice il riferimento a Dio nel contesto civile, anzi, lo interpreta come un collante fondamentale per mantenere uniti cinquanta Stati assai dissimili tra loro.

Difatti l’80% degli Americani dichiara di credere in Dio e quasi il 70% si definisce “cristiano”. Dato ancor più clamoroso è che il 68% di questi ultimi attribuisce alla religione “grande importanza”; la media nei Paesi dell’Europa occidentale è del 14%. Quasi il 30% dichiara di non riconoscersi in alcuna religione, ma solo il 4% si reputa ateo.

I cristiani poi, al loro interno, sono divisi in una molteplicità quasi incalcolabile di Chiese e movimenti. Minoritaria ma ben strutturata è la Chiesa cattolica, nella quale si riconosce circa il 20% della popolazione. Concentrata principalmente negli Stati del Nordest (Massachusetts, New York, Connecticut), storicamente caratterizzati da una forte immigrazione irlandese e italiana, e in quelli del Sud (California, New Mexico, Texas, Florida), si differenzia dal resto del mondo per un clero così conservatore da entrare in conflitto non poche volte con lo stesso Papa Francesco.

Maggioritario è invece il Protestantesimo che però si dirama in tre grossi gruppi: le Chiese protestanti cosiddette “storiche”, le Chiese legate alla comunità afroamericana e quelle evangeliche. Alle prime si deve il primato di aver “fondato” l’America; d’altronde i Padri pellegrini non erano altro che un gruppo di puritani allontanatisi dalla madrepatria per fuggire dalla monarchia inglese. Ad esse appartengono metodisti, battisti, luterani, episcopali e presbiteriani. Ciascuna rappresenta circa il 3% della popolazione, ma nella storia americana hanno avuto un ruolo fondamentale in quanto espressioni delle élite bianche, i cosiddetti “WASP” (“White Anglo-Saxon Protestants”).

Le Chiese afroamericane hanno invece origine nell’Ottocento grazie agli schiavi neri liberati. Teologicamente non si differenziano molto dai protestanti tradizionali, ma sono caratterizzate da fedeli quasi esclusivamente di colore con una spiccata propensione per il canto: i riti si basano sulla formula della “chiamata e risposta”, un dialogo tra pastore e fedeli nel quale a una frase del primo segue una risposta in coro dei secondi. Negli anni ‘70 queste comunità ebbero un’importante funzione sociale, aiutando le fasce non bianche e più disagiate della società dal punto di vista economico e scolastico, contribuendo non poco alle lotte per i diritti civili.

Ma il gruppo cristiano-non cattolico più numeroso è quello degli evangelici, che non si possono definire una vera e propria comunità ecclesiale perché professano una religiosità assai multiforme. L’Evangelicalismo non prevede infatti una struttura o una teologia ben definita, ma può essere definito un insieme di movimenti cristiani che hanno come punto focale la lettura e l’interpretazione della Bibbia, considerata l’unica vera autorità religiosa, infallibile e insindacabile. Essi crebbero la loro fama durante il cosiddetto “Second awakening” (“Secondo risveglio”), un periodo di inizio Ottocento durante il quale il numero di cristiani statunitensi crebbe a dismisura. Il Paese vide un pullulare di pastori e semplici fedeli che vagavano per città e campagne con l’obiettivo di convertire quante più persone possibili, facendosi spesso promotori di idee inclusive e progressiste. Ma dopo la Seconda guerra mondiale lo spostamento a destra fu inarrestabile, concentrando l’attenzione su battaglie quali la contrarietà all’aborto, il contrasto ai diritti LGTB e una visione scettica verso l’immigrazione. Oggi le comunità evangeliche sono concentrate nella cosiddetta “Bible belt” (“cintura della Bibbia”), l’area socio-geografica corrispondente a Stati come Alabama, Arkansas, Kentucky, Georgia, e sono politicamente molto attive. Il culto può essere celebrato in luoghi come case o capannoni, ma anche in megachuches, impressionanti strutture simili a palazzetti dello sport che raccolgono attorno a un pastore, solitamente audace e carismatico, migliaia di fedeli.

Ma la libertà religiosa ha permesso anche lo sviluppo di gruppi religiosi a dir poco peculiari come gli amish, che rifiutano la tecnologia e parlano il tedesco come prima lingua, o i mormoni, maggioritari nello Utah, che hanno come esponente di spicco il senatore Mitt Romney. Per non parlare della comunità ebraica, numerosa ed economicamente rilevante: negli Stati Uniti vivono circa 7,5 milioni di Ebrei, concentrati soprattutto in alcune contee di New York, New Jersey e Massachusetts e attualmente sono sotto i riflettori a causa della guerra israelo-palestinese che li ha nuovamente divisi tra sionisti e antisionisti. Ma il riaccendersi del conflitto in Medio Oriente ha portato alla ribalta anche i 2 milioni di musulmani presenti nel Paese, 400.000 in più rispetto a quattro anni fa, che nell’ultimo anno hanno riempito le piazze per manifestare la loro solidarietà alla Palestina.

Se consideriamo il forte attaccamento degli Americani verso il proprio gruppo religioso, non è difficile immaginare come ciò influisca direttamente sulle dinamiche quotidiane: dalla visione della famiglia alla scuola a cui iscrivere i figli fino a chi votare. Ed è proprio sul “voto religioso” che i due candidati alla Casa Bianca, Kamala Harris e Donald Trump, si stanno concentrando. A partire dal 1865 la quasi totalità dei presidenti statunitensi si sono identificati come “cristiani” (tutti protestanti tranne i cattolici J. F. Kennedy e Joe Biden). Gli unici a non dichiararsi tali furono Abraham Lincoln e Thomas Jefferson: il primo in quanto legato al deismo (filosofia che ammette l’esistenza di un Dio senza che però possa essere conosciuto dagli uomini), il secondo perché poco attratto dalle tematiche religiose.

Al Congresso sono cristiani il 99% dei Repubblicani e il 78% dei Democratici, percentuali che fanno comprendere come l’adesione al Cristianesimo abbia ancora un forte peso.

Si pensi che alcuni Stati chiedono per legge che i candidati alle elezioni congressuali affermino per lo meno che Dio esista. La Costituzione del Texas, per esempio, vieta di escludere una persona da un incarico istituzionale per motivi religiosi, ma richiede a quest’ultima di “riconoscere l’esistenza di un Essere supremo”. Anche in Tennessee è in vigore una legge simile, così come in South Carolina e Arkansas. Hanno fatto inoltre molto discutere i provvedimenti intrapresi da alcuni Governatori conservatori: si pensi al texano Gregg Abbott o al lousiano Jedd Landry che hanno insistito affinchè entrasse in vigore l’obbligo di esporre i Dieci Comandamenti in ogni classe della scuola pubblica. Simil cosa è avvenuta in Oklahoma dove il Sovrintendente all’Istruzione Ryan Walters ha introdotto nei programmi scolastici l’insegnamento della Bibbia. Tali provvedimenti hanno trovato il netto appoggio di Trump, interessato a mantenere vivo il legame con l’elettorato cristiano del Paese. Il candidato repubblicano, nato in una famiglia presbiteriana e poi dichiaratosi “cristiano non affiliato”, non ha mai mancato di corteggiare il “voto religioso”, che gli ha sempre dimostrato un solido sostegno. Nel 2016 lo supportò il 52% dei cattolici e il 58% dei protestanti, mentre nel 2020 il consenso dei primi si fermò al 50%, aumentando invece tra i secondi che lo premiarono con il 59%. Ma i dati vanno interpretati in base all’etnia. Se i bianchi (cattolici e protestanti) lo preferirono di gran lunga rispetto ai candidati democratici, lo stesso non si può dire degli afroamericani e latinos, elettorati tradizionalmente di sinistra.

Il gruppo più fedele a Trump resta quello degli evangelici, che negli anni si sono sempre più spostati a destra sposando spesso teorie nazionaliste e apocalittiche. Dalla visione di Trump come “dono di Dio” alla lotta senza precedenti contro il deepstate (l’insieme di lobbies e società segrete che tramano contro la libertà e il benessere), nelle chiese e durante le manifestazioni pubbliche hanno espresso pubblicamente il loro appoggio al tycoon, divenuto ancora più solido dopo l’attentato dello scorso 14 luglio. “Dio ha protetto il presidente Trump ieri" ha scritto su X lo speaker della Camera Mike Johnson, uno dei principali sostenitori della destra religiosa, seguito dallo stesso candidato alla presidenza che su Truth ha affermato "È stato solo Dio a impedire che accadesse l'impensabile". Nel tempo quest’ultimo si è guadagnato il supporto di famosi predicatori quali Franklin Graham, presidente e amministratore delegato della Billy Graham Evangelistic Association (BGEA), così come di Paula White, un tempo alla guida della Faith and Opportunity Initiative, il dipartimento della Casa Bianca che si occupa di iniziative benefiche a sfondo religioso.

Ma anche tra i cattolici non mancano gli attestati di stima verso l’ex Presidente soprattutto da parte dei vescovi, riconoscenti della nomina alla Corte Suprema dei giudici cattolici Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett e molto critici verso l’amministrazione Biden, duramente contestata per le politiche abortiste. Tra questi l’Arcivescovo di New York Timothy Dolan, l’Arcivescovo di S. Francisco Salvatore Joseph Cordileone e il Cardinale Raymond Leo Burke.

Anche la battista Kamala Harris, però, raccoglie forti consensi nel mondo cattolico grazie alle consistenti politiche sociali presenti nel programma. In questi mesi sono infatti nati a suo sostegno numerosi gruppi di opinione come i Catholics for Kamala e a settembre il suo staff  ha lanciato un importante convention che ha visto la partecipazione di figure di spicco come Joe Donnelly, ex ambasciatore presso la Santa Sede, e Simone Campbell, nota sostenitrice della giustizia sociale. La mobilitazione dell’elettorato cattolico democratico è forte anche sui social dove Christopher Hale, già spin doctor ai tempi di Obama, ha creato su X l’account Catholics for Harris con l’obiettivo di raggiungere quanti più elettori possibili. Ulteriore protagonista della galassia democratica è poi il gruppo Catholic Democrats, autore di importanti campagne mediatiche negli stati in bilico come Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, dove i cattolici sono molto radicati. Ed è proprio per conquistare il voto di questi ultimi che Trump ha scelto quale eventuale Vice-president J.D. Vance, convertitosi al Cattolicesimo nel 2019, che ha più volte rimarcato la sua convinzione religiosa.

Ma cosa dicono i sondaggi? Secondo l’autorevole Pew Research Center Cattolici e Protestanti supporterebbero maggiormente l’ex Presidente rispettivamente con il 52% e 61%, ma Harris conquisterebbe il 65% degli Ebrei e il 68% di coloro che non si riconoscono in nessuna religione, bacino elettorale sempre più largo in una società ormai secolarizzata.

La sfida, quindi, è apertissima e tutto dipenderà da chi riuscirà fino in fondo a scaldare gli animi degli elettori, soprattutto quelli indipendenti. Dopodiché l’attenzione si concentrerà sulle lunghe e macchinose procedure elettorali americane, che anche in questa tornata solleveranno dubbi e critiche, contribuendo a frammentare un popolo già abbastanza diviso. Così gli Americani continueranno a vivere tra contrasti e contraddizioni, ma riusciranno ancora a con-vivere solo se si riconosceranno in quella Patria così come è descritta dal giuramento alla bandiera: una Nazione al cospetto di Dio, “one Nation under God”.

Michele Gottardi

Classe 1995, maturità classica e laurea con lode in giurisprudenza all’Università di Trieste. Appassionato di storia, politica e religioni, amante del "bello" nelle sue forme più elevate e profonde.

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