Legittimità e giustizia: due concetti spesso confusi ma tremendamente distinti nello Stato moderno

196 pagine: questa è la misura della sintesi compiuta per i tipi di Rubbettino dal professor Carlo Lottieri che guida i suoi lettori in una cavalcata appassionante dalla Tarda Antichità fino ai giorni nostri.

“Credere nello Stato?” è un libro che propone un itinerario profondo ed accurato nelle pieghe della filosofia del diritto, della scienza politica e della teoria dello stato. A qualche lettore poco avveduto potrebbe ricordare nel suo procedere la “Fenomenologia dello Spirito” di Hegel: probabilmente una bestemmia per l’autore, un liberale della scuola libertarian, scevro da qualsiasi storicismo, niente affatto banditore di una Storia leibniziana dalle sorti “meravigliose e progressive” e men che meno incline a qualsiasi deriva statolatrica di matrice hegeliana. Anzi, in ossequio al liberalismo classico, la progressiva affermazione dello Stato moderno è vista dal fondatore dell’”Istituto Bruno Leoni” come equivalente a un vortice discendente per la libertà dell’uomo, sempre più messa a dura prova dal regime politico, al punto tale che l’autore arriva a affermare sin dall’inizio della trattazione:”Lo Stato moderno, in sostanza, va preso sul serio” (pag.15).

Occorre, insomma, guardare allo Stato oltre le apparenze con le quali l’hanno consacrato schiere di filosofi ed intellettuali di più varia estrazione.

E’ pur vero, tuttavia, che il professore italiano di Filosofia del Diritto condivide con Hegel quella cifra stilistica che è propria di chi è padrone di un disegno complessivo, che ha ben chiaro nella mente e che sa esporre con maestria (Rem tene, verba sequentur, ammoniva giustamente Catone il Censore). Tale cifra stilistica si sostanzia nel ribadire, continuamente ma in modo sempre più ricco negli esempi e approfondito nei contenuti, la tesi del pamphlet, che viene enucleata senza ambiguità già dalle prime pagine: “Nessun dominio è mai semplicemente una questione di interessi economici, piccole o grandi cospirazioni, ambizioni personali. Tutto questo c’è e pesa, ma non riuscirebbe a sconfiggere la resistenza dei singoli e delle comunità se non potesse disporre di una qualche metafisica”.

Di qui si comprende il sottotitolo del libro, “teologia politica e dissimulazione da Filippo il Bello a Wikileaks”, per significare che la politica, dai primordi dell’età moderna (cioé da quel famoso autunno del Medioevo fatto di insofferenza verso la dicotomia Chiesa-Impero) si è mossa progressivamente in un duplice movimento: escludere la sfera del religioso ma al contempo farne proprio il linguaggio e le liturgie, ammantandosi di sacralità.

Si è trattato di un processo non senza inciampi, lento e graduale e che sta mostrando negli ultimi anni qualche crepa, che l’autore non manca di evidenziare con un lieve ottimismo. La progressiva sacralizzazione del potere è sintetizzata dal professore ad usum Delphini in tre capitoli, con una suddivisione in cui la disquisizione logico-filosofica si appaia perfettamente alla cronologia, quasi appunto si trattasse di una “Fenomenologia dello Stato”, che nella contemporaneità della democrazia liberale (o presunta tale) ha raggiunto il suo apice.

In “la croce e la spada” si ravvisa come, nell’Alto Medioevo, la “proliferazione semianarchica delle autonomie locali” (Giovanni Tabacco) costituisse un freno all’avanzata della potestas cesaro-papista, che oggigiorno ha assunto le forme ingentilite (ed appunto “dissimulate”) del diritto pubblico, il quale (inutile negarlo) è arbitrario, statutario e artificioso (a differenza di quello privato che ha carattere prettamente evolutivo).

La potestas, che al termine dell’Età Antica restava in capo solamente al βασιλεύς bizantino, si è imposta progressivamente come modus operandi nella Kulturkampf tra Impero germanico e Chiesa, istituzioni in origine legittimate entrambe dalla mistica agostiniana dell’auctoritas della città terreste e della Gerusalemme celeste, ma rivelatesi poi deboli alla tentazione del dominio durante la loro declinazione storica attraverso i secoli del Medioevo.

Il secondo capitolo, “Contributo a una genealogia del moderno”, rappresenta l’acme del saggio: il “contributo” di Lottieri consiste nello svelare come l’identificazione tra diritto e legislazione sia in realtà un paralogismo funzionale alle logiche del potere politico, il quale tende progressivamente ad emarginare il diritto di carattere storico (evolutivo) e meta-storico (diritto naturale).

Anche in questo capitolo, la trattazione teorica trova parallelismo nell’avanzare dello sviluppo storico. Filippo il Bello, proclamato “figlio di David”, e Ludovico di Baviera, defensor pacis, a differenza dei Carolingi, realizzano l’inganno principe del potere, ossia confondere regnum e sacerdotium, ammantando la loro figura di un carattere messianico. A proposito di queste vicende storiche, Lottieri cita Guido Fassò, il quale osserva che con Marsilio da Padova (il più accanito intellettuale sostenitore del Bavaro) si ha la prima precisa formulazione del positivismo giuridico, ovverosia la riduzione del diritto a comando coattivo dello Stato.

La tesi riprende quella di Pierre Manent: il mondo, per aver voluto chiudersi a una particolare opinione (quella cristiana, ridotta appunto a una “cattività avignonese” ed a una “Inquisizione spagnola” gestita dalla corona) si obbliga in eterno a privare di ogni opinione il potere (l’esito è l’illiberale laicité francese) e a privare di ogni potere l’opinione (l’ateismo come regola di vita): “la volontà di organizzare il mondo, (di ergersi a difensori della pace, a grandi Leviatani, divinità mortali, per dirla con Hobbes) ha prevalso sul riconoscimento dell’altro” secondo l’autore.

In un mondo contraddistinto dalla “terza guerra mondiale a pezzi”, come ripete sovente il Pontefice, queste parole sono quanto mai attuali per chi legge il saggio.

L’Età dei Lumi non fa che acuire la doppiezza dei meccanismi del potere: citando il commento di Andrea Tagliapietra alla Metafisica dei costumi, Carlo Lottieri concorda che con Rousseau e Kant l’assolutismo personale del monarca teorizzato da Bodin assume i contorni più subdoli dell’impersonalità della legge, senza perderne i tratti coercitivi e totalitari. Per il filosofo libertarian, si arriva a una sorta di “assolutismo democratico”, cioè sussistente nello Stato di diritto.

Di qui la domanda che dà il titolo al terzo capitolo “Libertà o sovranità?”. E’ evidente che per l’autore l’aporia esiste e non si può derubricare come per Rousseau al fatto che le leggi sarebbero poste da una volonté générale, da un contratto sociale in cui il singolo è del tutto assente. Nel mondo dell’età contemporanea, protagonista del terzo capitolo, la concezione “laicizzante” dello Stato vorrebbe che le istituzioni religiose si occupassero solo delle anime, mentre un apparato di welfare sarebbe il titolare della assistenza, dell’educazione e della sanità (processo che è stato molto evidente nel Regno d’Italia dove, senza scomodare l’autoritarismo fascista, le leggi Casati e Coppino perseguivano in realtà l’obiettivo della classe dirigente postunitaria di ridurre l’influenza della Chiesa sulla scuola).

Nel ‘900 si afferma così con forza il dualismo antropologico cartesiano e la fede rischia sempre più di essere un fatto privatistico, “spiritualista”, ascetico e “pauperista”, in netta discontinuità con la religione civile del mondo classico greco-romano, con la tradizione giudaica e con il dettato della Chiesa (che, sulla scorta di Agostino, ha sempre bollato come eretiche le tendenze “gnostiche” al suo interno).

Sul versante opposto del Kulturkampf, il dominio sovrano non si è affatto dissolto o attenuato nel Rechtsstaat ma si è fatto più sofisticato, burocratizzandosi al punto che lo statunitense Rothbard denota che un giudizio di costituzionalità da parte della Corte suprema (esplicito o implicito) funge de facto da strumento di legittimazione ideologica dell’azione di governo, col risultato di favorire una accettazione pubblica della misura in oggetto. Esso è quindi un organo a garanzia più dell’ordinamento vigente che dei cittadini.

La libertà dell’individuo è quindi minata per sempre ed è destinata ad avere spazi sempre più ridotti?

Lottieri cita alcune inversioni di tendenza, i cui prodromi risalgono agli anni ’70 del secolo scorso: all’epoca, la pubblicazione dei Pentagon Papers rivelò come la narrazione degli apparati USA sui fatti della guerra in Vietnam fosse altamente manipolatoria, al punto che Hannah Arendt, muovendo dalla distinzione leibniziana tra verità di fatto e verità di ragione, lamentò come la verità avesse divorziato dalla realtà, cioè come lo storytelling prescindesse ormai dai fatti, anzi tendesse a tenerli celati: “lo scopo ultimo non era né il potere né tantomeno il profitto…l’obiettivo era diventato l’immagine stessa”. In un secolo dominato dagli influencer, ricordare che lo Stato è il primo di essi non è di secondaria importanza.

Parimenti, secondo il professore di filosofia del diritto, le vicende più recenti relative a Wikileaks non preoccupano l’amministrazione americana per gli insight puntuali che disvelano né per le vite che possono mettere a repentaglio, quanto perché dischiudono agli occhi dell’opinione pubblica il gioco di Realpolitik, mistificazioni e manipolazioni di cui il potere si è avvalso nell’ignoranza completa dei cittadini, inebriati dalla metafisica di uno Stato garante dei diritti e dell’uso responsabile della forza, ma che non è troppo diverso dall’imperatore romano che procacciava panem et circenses ad una plebe annoiata ed esautorata da qualsiasi meccanismo di controllo sul potere.

La storia per fortuna resta aperta” è la conclusione di Carlo Lottieri, assieme all’invito a non cedere mai al fascino del potere, il quale, per sua natura, incanta con una mistica intrigante e con una narrazione melliflua e cangiante, anche e soprattutto nell’epoca delle democrazie liberali e degli stati di diritto.

 

Alberto Lorenzet

Classe 1997, dopo il liceo ginnasio a Conegliano laureato con lode in Chimica Industriale all’Università “La Sapienza” di Roma. Alumnus del Collegio della Federazione dei Cavalieri del Lavoro, premiato come “Laureato Eccellente” dell’anno 2021, lavora attualmente presso EssilorLuxottica come ingegnere di produzione nell’ambito dei trattamenti superficiali. 

LinkedIn: Alberto Lorenzet

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