Squarci sull'Io: l'enneagramma dei caratteri come strumento per comprendere e sanare
"Non è difficile concepire l'idea che siamo stati feriti e, forse inconsciamente, martirizzati dal mondo nel corso della nostra infanzia, e che in tal modo siamo diventati un anello nella catena di trasmissione di quella che Wilhelm Reich chiamava la "peste emozionale", che contamina tutta la società. Non si tratta soltanto di una una moderna visione psicoanalitica: è una calamità che si abbatte di generazione, nota fin dall'antichità. L'idea di una società malata è l'essenza dell'antico pensiero dell'India e della Grecia, che concepiva il nostro tempo come un'epoca buia, o come Kaliyuga, un'età di grande decadenza rispetto alla nostra condizione spirituale originaria [...]. Diciamo che il nostro modo di di vivere in questo "basso" mondo dopo la cacciata dall'Eden (cioè la personalità con cui ci identifichiamo e cui implicitamente facciamo riferimento quando diciamo "io") è un modo di essere che abbiamo adottato per difendere noi stessi e il nostro benessere grazie a un "adattamento", in senso lato, che in generesi tinge più di ribellione che di accettazione [...]. Alla somma complessiva degli apprendimenti pseudoadattivi ora descritti le tradizioni spirituali danno in genere il nome di "Io" o "personalità" (diverso dall'"essenza", o "anima", della persona), ma io ritengo assai appropriato denominarla anche "carattere".
Derivato dal greco χαρασσω, che significa scolpire, "carattere" si riferisce a ciò che rimane costante nella persona, perché le si è scolpito dentro, e quindi ai condizionamenti comportamentali, emotivi e cognitivi".
"Se investissimo il 10 per cento delle energie che abbiamo speso per il progresso tecnologico, a comprendere in modo profondo l'interiorità dell'uomo e i meccanismi delle relazioni umane, vivremmo di certo più felici". Questa frase che io ascoltai in un corso di psicologia qualche tempo fa mi rimase impressa nella mente come un solco su un terreno, e come un solco guida l'acqua a destinazione per irrigare la pianta, così essa guidò la mia ricerca alla scoperta di questo testo di Claudio Naranjo, "Carattere e nevrosi". In accordo con la tesi sopra esposta mi fiondaì nella lettura del testo per gli spunti pratici che avrei potuto ricavarne più che per curiosità intellettuale.
Il presupposto fondamentale del testo è che il carattere sia una forma di adattamento dell'uomo alla realtà circostante che inibisce la spinta istintuale e genera una tendenza nevrotica. A differenza della teoria psicoanalitica, secondo cui la nevrosi sarebbe causata dall'interferenza di un Super-Io, con la vita istitntuale, Naranjo avanza l'ipotesi che "il nostro conflitto di base e il nostro modo fondamentale di essere in disaccordo con noi stessi, nascano da un'interferenza con l'autoregolazione dell'organismo attraverso il carattere". Quest'ultimo emerge come strategia adattiva del bambino a situazioni dolorose, e tende a cristallizzarsi a causa di una "tendenza congitiva deformante", cioè una ridigità del comportamento adottato all'inizio come reazione di emergenza.
Da qui il declinarsi in nove tipi differenti di personalità, che Naranjo rappresenta in un cerchio come nove punti ordinati secondo uno schema intelligente, e collegati da segmenti orientati che indicano l'interazione tra un carattere e l'altro, dato che "fra loro si instaurano rapporti specifici, contrasti, polarità e relazioni di vicinanza".
Al netto degli aspetti più propriamente tecnici, che rendono il testo adatto anche ad una trattazione accademica, chi abbia la volontà di divertirsi a indagare l'archetipo delle persone circostanti e di perseguire uno scopo pratico provando ad adattare le chiavi di lettura del testo alla propria situazione personale, rimarrà piacevolmente sorpreso di riscontrare nelle relazioni familiari o amicali i tratti specifici che l'autore mette in evidenza per ogni carattere. Essi denotano la delicatezza del materiale umano, e mostrano ciascuna personalità come un diverso scorcio di quel volto della bellezza che è in ogni uomo in quanto creato a immagine di Dio
Il motto socratico "conosci te stesso" diventa allora nel libro di Naranjo il punto di partenza per liberarsi dal dolore inutile dell'incomprensione, per sanare la relazione con se stessi e con gli altri, per liberarsi dal pensiero e dalla presunzione di poter leggere la vita solo secondo il proprio modo di essere senza lasciar spazio agli orientamenti spirituali e inellettuali di chi scorge aspetti dell'esistenza differenti ma altrettanto veri, dato che vi è uno spazio di verità pur nella diversità delle percezioni e dei vissuti di ogni carattere.
Nella sicura speranza che questo testo possa aiutare tutti almeno a porsi delle domande sensate sulla dimensione relazionale, auguro una buona e fruttuosa lettura.