Pornoprivacy
ATTENZIONE: Il presente articolo non intende essere né un paper scientifico, né un ragionamento sensato che guidi il lettore verso una epifania. Prendetelo come i discorsi di un pazzo con un cartello e un campanaccio che grida “la fine è vicina”.
Pornoprivacy
Ragionare per parole ci porta a volte fuori strada. Ragionare per concetti, non è altro che ragionare per parole, in molti casi. Da qui, le difficoltà - non solo di ragionamento, ma - di intendersi reciprocamente con un qualsiasi interlocutore/lettore. Ma almeno sono sicuro che di fronte ad una parola palesemente inventata, ma non per questo finta, come pornoprivacy, si riesce senz’altro ad attirare l’attenzione. Dobbiamo quindi fare un passo indietro, verso ciò che ha portato tale termine a nascere dalla penna che scrive questo brevissimo pensiero.
Volendo strutturare un tipico pensiero di sinistra (quindi, tendenzialmente finto e costruito al solo fine di dimostrarsi più intelligente di chi ascolta) si potrebbe dire che oggi ormai tutto, al di fuori della sessualità, sia porno. Al di fuori della sessualità – dove probabilmente il maschio e la donna si incontrano e si conoscono ancora per quello che sono sempre stati, nudi in tutti i sensi, dove lì proprio sparisce il porno per far spazio all’eros o altri sentimenti senz’altro più nobili –
siamo immersi in una società pornografica. Si badi bene, siamo fuori dal cono stretto che la parola porno suggerisce nella mente del lettore, siamo fuori dalla sfera delle pulsioni sessuali “sporche” a cui in genere si fa riferimento con la parola porno. Ovviamente, queste ci rientrano ma forse più come forma di sineddoche, per indicare un contenitore più che il contenuto.
In questa società dove i comportamenti compulsivi sono la grammatica di base della quotidianità (dallo scroll compulsivo del telefono all’idea di dover essere sempre in contatto o raggiungibili da chicchessia) il porno si configura come continua esigenza e voglia di qualcosa di cui non si ha bisogno o non si vuole nemmeno fare. Il porno si concretizza nella svogliatezza, nell’annientamento del desiderio causato proprio da un soddisfacimento del desiderio stesso prima ancora che questo nasca. E da qui tutte le nevrosi (mi si passi il termine sicuramente improprio) che nascono nell’animo delle persone dove si annidano costantemente esigenze di essere bombardati di un piacere volto a soddisfare desideri che non esistono (o non esistono ancora) e che, tendenzialmente, se esisteranno saranno generalmente indotti da un Deus ex machina che cercherà di fornirti questo piacere, sublimandolo (tendenzialmente) in un becero consumismo. Si badi bene, non è una critica al consumismo, di cui mi interessa ben poco, ma di quello che spinge in una logica causa-effetto a immergersi in un’orgia di consumo, non solo materiale\economico, ma soprattutto sociale. “E quindi?”, vi starete chiedendo. Non che vi debba sempre essere un e quindi, ma se proprio lo volessi concedere, da questo punto emergerebbe un tema di pilotabilità e controllabilità dell’individuo. Se quindi il porno è annientamento del desiderio proprio tramite soddisfacimento di un desiderio che ancora non esiste e che quindi viene indotto dopo il suo stesso soddisfacimento (al contrario della nozione stessa di desiderio, che nasce proprio dalla privazione di ciò che si desidera), a questo punto diventa fondamentale mettere a fuoco che ciò di cui viene indotto il soddisfacimento è un generale, complessivo e sistemico “strumento di rieducazione”. Quanto potremmo, infatti, spingerci ad affermare con sicurezza e certezza che ciò che desideriamo, ciò che vogliamo, ciò che ci piace non è stato indotto proprio da un meccanismo o algoritmo che in una strada lastricata di buone intenzioni, ha perfettamente tracciato e monitorato il nostro comportamento, arrivando anche ad anticipare i nostri passi? In una dinamica come questa risulta necessario riscrivere le basi con cui intendiamo l’uso e l’utilizzo di strumenti (tecnologici) su cui dobbiamo riconoscere non aver più il pieno controllo e il cui funzionamento ci è più che mai oscuro. Strumenti che ogni giorno ci vengono offerti come indispensabili per vivere appieno una quotidianità sempre più virtuale, che esiste solo nella misura in cui azzanna la nostra individualità. Strumenti che operano sempre nel pieno rispetto della privacy, nonostante non solo sia palese che così non è, ma anche che a nessuno, di fatto, interessi effettivamente qualcosa. E così, come una svogliatezza, il tema della privacy penetra l’opinione comune senza lasciare un impatto, ma diventando soltanto un orpello alla navigazione web, ma senza cogliere l’essenza più profonda dell’idea sottesa al concetto: quella di tracciare un confine, con il solo scopo di separare, tra te e l’altro, tra lo Stato e l’individuo, tra la spirale pornografica della società e ciò che è di quanto più intimo, sentito ed effettivamente desiderato.